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Giocate con noi- Parte finale!

Voulez – vous coucher avec moi ce soir?


Ta-da-dan…rullo di tamburi, si accendono le luci ed eccoci a noi con, ritengo, la fase più attesa e più “caliente” della rubrica GIOCA CON NOI.

Potete visitare e completare ancora le parti precedenti di questo giochetto tramite cui stiamo scoprendo dei veri e propri talenti cliccando qui (link).
Procediamo con quello che è il cosiddetto “canto del cigno”, la parte conclusiva, il “vissero per sempre felici e contenti”…dopo i fuochi d’artificio ovviamente, del piccolo progetto del blog.

Eccovi la domanda:

5 – La prima scena d’amore.


Descrivete il luogo in cui vi piacerebbe far amare i due protagonisti, il loro atteggiamento, chi per primo prende l’iniziativa, se preferite una scena romantica o piccante…

Potete tranquillamente decidere come impostare il tutto, se essere dettagliate, generiche, passionali, platoniche, descrivere i pensieri dei due piccioncini, i loro approcci, le loro insicurezze.

Ampio spettro di possibilità per quanto riguarda le situazioni ed i luoghi, il numero di persone che parteciperanno al menage (mmm….magari questo no ;)!), potrete riflettere se descrivere una scena da STRANO MA VERO od una da BOCCA DI ROSA, se concedere ai due un po’ di privacy oppure se farli stare col patema di essere scoperti da un momento all’altro.

Insomma lasciate briglia sciolta alla vostra immaginazione e partite con i fuochi d’artificio, i poveretti hanno atteso pure troppo il loro momento.


Come al solito vi invito a cercare di continuare il vostro intreccio narrativo così come lo avevate impostato nei precedenti post, vi rammento che qui ci si sta solo divertendo senza giudicare né essere giudicati e se non si è inclini al racconto potete anche solo indicare sinteticamente luogo, situazione, e tutto quello che volete...come disse De Coubertain “L’IMPORTANTE E’ PARTECIPARE”.

Dunque ragazze siate numerose e fatevi sotto!!

P.s. Mi raccomando ragazze, niente cose "sconce".

P.s.2 Finite il vostro racconto, la Ross dice che ha una sorpresina per chi lo completa... almeno cosi dice!







Angy

Commenti

  1. Finalmente la donna si era addormenta. Si era battuta come una leonessa e poi aveva finto di arrendersi. Ma l’aveva sentita vibrare di furia contenuta.
    Fermò il cavallo e reclinò piano il capo per osservarla con calma. La luce lunare rendeva la sua pelle ancora più pallida. La mezzaluna delle ciglia evidenziava le ombre sotto gli occhi. Le braccia erano graffiate, la veste strappata in più punti, i piedi gonfi, sanguinavano, malamente avvolti negli stracci che costituivano le sue scarpe. Eppure non aveva mai visto una donna più bella di quella piccola guerriera stremata. Poi Eyleena aprì gli occhi e lui temette che avrebbe iniziato nuovamente a dibattersi e si preparò a bloccarla. Invece la schiava restò incantata da quello sguardo. Dimenticò la fuga, la rabbia e“lo vide” perdendosi in quegli occhi color del ferro.
    La paura e la disperazione l’avevano braccata per tanto tempo. Erano la sua difesa, il suo scudo la sua forza e ora erano sparite, sciolte come neve tra le braccia di quell’uomo Come era possibile?-Perché non desiderava fuggire, perché… E poi lui la baciò, dolcemente, stringendola piano a sé. E lei capì che se avesse voluto avrebbe potuto allontanarlo e rifiutarlo. Come mai le era stato concesso nella sua breve, terribile vita. Ma perché, poi, avrebbe dovuto farlo? Perché negarsi l’unico momento bello che, forse, il destino le avrebbe concesso? Rispose al quel bacio con un trasporto totale, assoluto, sentendo le lacrime bagnarle il viso. L’uomo le baciò quelle piccole gocce di dolore e di gioia ad un tempo. La guardò.
    - Dobbiamo andare.
    - Dove?
    Conan la fissò a lungo, in silenzio.
    - T’importa?
    - No.
    La risata argentina di Eyleena risuonò nella notte. Una cascata di note cristalline che brillavano nella neve. Si strinse all’uomo che non conosceva e che non aveva mai visto prima e si sentì felice come mai le era successo prima.
    Conan sapeva che prima sarebbe dovuto passare da Mac Cain per spiegargli che il suo vicino aveva deciso di tenere per sé la schiava che avrebbe dovuto riportarle ma, del resto, era quello che aveva deciso quando l’aveva vista per la prima volta, mentre sollevava le gonne per giocare a nascondino con i bimbi del villaggio nonostante i segni dei maltrattamenti e delle botte che le segnavano il viso e le braccia. E ne era stato ancora più sicuro quando l’aveva scorta sulle rocce della cascata a osservare lo scrosciare dell’acqua… avrebbe voluto indovinare i suoi pensieri segreti e confortarla ma in quel momento non poteva rischiare una guerra contro i Mac Cain. Veramente neanche adesso avrebbe potuto ma ormai lei era tra le sue braccia e non avrebbe rinunciato a quella sensazione per nulla al mondo. Del resto… se l’avesse sposata … e pagato un congruo riscatto… nessuno avrebbe potuto obiettare nulla. Ecco, adesso era nei guai fino al collo. Sposarsi? Era impazzito?
    Poi la schiava si strinse a lui , adattandosi perfettamente al suo corpo. Conan spronò il cavallo. Doveva assolutamente arrivare a casa prima che padre Steffan crollasse a terra per la troppa birra. La ragazza lo baciò sul collo. Il dolore all’inguine divenne lancinante.
    Lo stallone aumentò l’andatura mentre la notte abbracciava il barbaro e la sua donna in una coltre di silenzioso velluto.

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  2. Sharon Westfire mosse le mani in cerca di sollievo. Era sdraiata su una misera cuccetta che odorava di muffa, aveva le braccia indolenzite allungate sopra la testa e i polsi scorticati dalle corde che la ancoravano ad un anello infisso alla parete. Miss Sharon Westfire era un ostaggio. Prigioniera del più feroce ed inarrestabile pirata del Mar dei Caraibi, Lo Spettro. Si trovava sul Black Phantom da cinque giorni, veniva slegata solo per i pasti (generalmente qualche galletta ed una brodaglia immangiabile) e per espletare i suoi bisogni. Non era mai uscita da quella cabina minuscola ed ormai il terrore non le annodava più le viscere...ciò che provava era solo rassegnazione. Al pensiero del suo abito azzurro strappato brutalmente e volontariamente macchiato di sangue non suo dallo stesso infernale Capitano pirata, ella maledisse la propria lingua. Adesso capiva di essersi rovinata con le sue stesse mani chiamando in causa l'Impietoso, il Generale Westfire suo padre, e quell'abito fungeva da esca e da monito. Il capitano cercava vendetta, e lei gli era capitata tra le mani proprio al momento giusto.
    Quando la porta si aprì all'improvviso Sharon si irriggidì, ma ben presto fu la paura a scorrerle nelle vene. Lo Spettro dei Caraibi la stava fissando con i suoi occhi neri privi di vita, il suo volto non trasmetteva nulla se non un macabro compiacimento. Fissò deglutendo la cicatrice che gli attraversava il volto dalla fronte al labbro superiore passando per l'occhio. Si chiese se ci vedesse ancora.
    < vedo che vi siete ambientata > mormorò appressandosi a lei e questa per contro scivolò verso la parete della cuccetta. Egli si sedette tranquillamente sul bordo del letto, molto vicino al suo fianco e senza smettere di soppesarla. Il suo sguardo si posò concentrato su ogni parte di lei: i piedi coperti dalle calze, la sottoveste di cui era vestita considerata la misera fine del suo abito, le braccia, le mani legate. La scandagliò come se si trovasse dinnanzi un oggetto mai visto prima ed infine si soffermò sui suoi polsi insanguinati, ma non la slegò
    < ritengo vi facciano male > le disse invece accennando alle corde.
    Lei non riusciva a respirare, ma caparbia serrò le labbra e scosse il capo in un diniego. Egli non parve apprezzare il suo coraggio, o la sua stoltezza piuttosto. La ingorò del tutto tornando a guardarla in volto
    < non gli somigli > asserì come un dato di fatto. Non sapeva cosa rispondergli ma non ve ne fu necessità. Il capitano continuò
    < è una buona cosa, non so se avrei resistito al desiderio di uccidere una persona che mi ricordasse quell'uomo > la sua voce era pacata, priva di inflessioni, inquietante oltre ogni immaginazione. Sharon prese il coraggio a due mani
    < lui non verrà > asserì con convinzione
    < non verrà mai per salvarmi, non gli è mai importato niente di me, mai > perseverò.
    Il capitano sollevò una mano e ne posò il dorso su una guancia di lei. Ella voltò il capo di scatto come se l'avesse morsa. Allora lui scese a circondarle il collo col palmo ma senza alcuna pressione, solo una lieve carezza.
    < si che verrà, ho provveduto che il suo orgoglio fosse dovutamente oltraggiato e tuo padre è un uomo profondamente orgoglioso > la sua mano scese lentamente a carpirle il petto. Sharon soffocò sobbalzando
    < toglietemi le mani di dosso! > esclamò terrorizzata. Ma lui ovviamente non le diede ascolto
    < non pensavo che quel maledetto assassino potesse generare qualcosa di così bello > disse e scese accarezzandole lo stomaco.
    Lei si inarcò con furia cercando di scrollarsi di dosso quella carezza oscena
    < volete violentarmi? Siete caduto così in basso da prendervi quello che volete con la forza? Che ne è del vostro onore? > berciò lei ormai quasi in lacrime.
    La sua carezza si fermò ed il suo sguardo tornò a scrutarle il viso.
    < onore? Non ne ho mai posseduto uno > e la baciò sul collo attirando la tenera pelle all'interno della bocca.
    < per favore, non fatelo > sussurrò Sharon in preda al panico.
    Per tutta risposta lui spostò il bersaglio delle sue attenzioni. Posò le sue labbra su quelle di lei, ma senza forzare nè aggredire, solo uno sfiorarsi di bocche. Miss Sharon Westfire iniziò a piangere, lacrime cocenti le rigavano il volto raccogliendosi sul cuscino, pregò che qualcuno arrivasse ad aiutarla, per la prima volta nella sua vita desiderò che quell'essere senza cuore di suo padre fosse lì a salvarla, ma da sè stessa e da quelle sensazioni che, Dio la perdonasse, stavano per sommergerla al tocco di quelle labbra vendicative e assassine.

    baci Angy

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  3. ...se non vogliamo buscarci una polmonite. Ora vi toglierò benda e corde ma voi dovrete promettermi di non agitarvi e di non urlare, altrimenti ve ne pentirete. - e con una luce assassina negli occhi mostrò che aveva una pistola con sè. Sarah inebetita lo lasciò slegarla ma quando le mani di lui fecero per toglierle anche gli indumenti bagnati, si ribellò.
    - Che almeno mi venga concesso di cambiarmi da sola. Non urlerò e non mi agiterò, ve lo prometto - disse con una voce stranamente calma.
    - Come volete milady - un lampo negli occhi - lì c'è una coperta per voi, io mi girerò per darvi un po' di privacy. -
    - Non penserete mica che io mi spogli qui davanti a voi, vero?! Siete completamente pazzo! -
    - Può essere ma comunque non ci sono alternative. A meno che non vogliate che vi spogli io - disse con tono insinuante, poggiandole una mano lungo il fianco e avvicinandola a sè. Sarah sentì il suo respiro sul viso e il calore propagarsi dalla sua mano lungo tutto il corpo. Intossicata dal suo odore, sentì improvvisamente un languore dentro di sè e un desiderio profondo di lasciarsi andare. Cosa le stava succedendo? Doveva cercare di tornare in sè. Dopotutto questo energumeno l'aveva appena rapita!
    In un sussulto di dignità riuscì a scostargli la mano e a prendere la coperta. Lui rise a piena bocca e si girò verso il finestrino. Allora Sarah, guardandogli la schiena e cercando di coordinarsi con i fortunatamente pochi scossoni della carrozza, si tolse gli abiti zuppi, tenendosi mutande e camiciola, e si avvolse nella coperta calda e pulita. Non appena ebbe finito, Andrew si girò verso di lei con un tempismo decisamente sospetto. Arrabbiata lo apostrofò: - Mi avete spiata!! Non vi bastava avermi rapita e malmenata, mi avete anche spiata mentre mi cambiavo! -
    - Io guardavo fuori dal finestrino - le rispose lui con tono innocente - non è certo colpa mia se c'era il vostro riflesso - concluse sghignazzando.
    Furibonda Sarah gli urlò - Siete un maledetto furfante! -
    - Comunque milady, per compensare la vostra vergogna, anch'io mi cambierò davanti a voi e non vi chiederò di girarvi, così saremo pari. - E le fece l'occhiolino.
    Senza lasciare tempo alle sue parole, si sedette e iniziò a togliersi le scarpe e le brache, facendo apparire due cosce possenti e muscolose. Sarah arrossì completamente e si volse verso il finestrino, dove comunque continuò a verderlo mentre si toglieva la camicia e rimaneva a petto nudo. Con la gola secca Sarah ammirò quel petto villoso e, alzando lo sguardo verso la spalla e poi fin sul viso, lo vide riflesso che dal finestrino ammiccava verso di lei. - Piaciuto lo spettacolo? - e rise di gusto. Sarah, ormai con due tizzoni ardenti al posto delle guance, chiuse gli occhi e rimase muta. Provava una sensazione stranissima: voleva scappare da lì ma allo stesso tempo voleva avvicinarsi a lui. Chi era quest'uomo e perchè l'aveva rapita? Cosa mai poteva volere da una persona insignificante come lei? Forse voleva arrivare a suo padre tramite lei? Ma non lo sapeva, pensò con una stretta al cuore, che a suo padre non importava nulla di lei? Finalmente l'aveva ammesso con sè stessa. C'era voluto un rapimento per farlo!
    All'improvviso si sentì sfiorare una guancia e riaprì gli occhi.
    - Ssshh.. Tranquilla. Non voglio farti del male. Sembri così innocente. - le sussurrò Andrew e, come al rallentatore, le sue labbra scesero sulle sue, stuzzicando, accarezzando, seducendo, fintanto che Sarah non aprì la bocca, permettendogli un accesso più intimo. E il mondo tutt'attorno sparì mentre venivano sbalzati in un'altra dimensione. Le sensazioni dolcissime che provavano catturarono entrambi in una malia profonda, che si trasformò in pura bramosia mentre labbra contro labbra si consumavano a vicenda.
    Ma all'improvviso, com'era iniziato, tutto finì. Andrew si ritrasse di botto. Ansimavano entrambi come dopo una lunga corsa e si guardavano.
    Dopo quel bacio, Andrew si rese conto che lei non poteva essere così ingenua come sembrava, quindi, indurito lo sguardo, bruscamente le disse: - Siete qui perchè avete qualcosa che mi appartiene. - Sarah, che non aveva mai provato un'esperienza simile, stava ancora cercando di recuperare aria e di raccapezzarsi. A queste parole, sbottò: - Ma si può sapere di cosa state blaterando? Mi avete rapita, legata come un salame, trascinata sotto una pioggia torrenziale, scagliata in una carrozza diretta chissà dove, obbligata a spogliarmi davanti a voi e bac.... e tutto il resto. - concluse imbarazzatissima. - Insomma chi siete e cosa volete da me? -
    - Io sono Andrew Morland, conte di Sherbrooke, nonchè fratello maggiore e tutore di Josie Morland. Ora comprendete perchè vi ho rapita? - Ma Sarah, seppur in qualche modo sollevata che non fosse un comune delinquente, continuava a fissarlo stralunata.
    - Il vostro nome non mi dice nulla e neppure il nome di vostra sorella. Per me anche se conte restate un pazzo furioso. - E con la voce rotta continuò: - Riportatemi a casa immediatamente, altrimenti per voi saranno guai seri. - Non aveva trovato di meglio per minacciarlo. - Tacete, donna! Ancora non volete dire la verità. Rivoglio la collana di smeraldi che voi avete estorto con il ricatto a mia sorella e poi vi lascerò libera, anche se meritereste la prigione. -
    A questo punto Sarah provò l'impulso di urlare e picchiarlo ma cercò di frenarsi, capendo che con quella testa dura non avrebbe portato a nulla. Quindi, impartendosi nuovamente la calma, rispose: - E' bene che di grazia mi spieghiate l'intera storia di quello che io avrei fatto dal principio. -
    Andrew ebbe un momento di esitazione ma subito ripresosi le disse: - Complimenti! Ho capito la vostra strategia. Fare la vittima innocente ma questo non vi salverà dallo scandalo che farò abbattere su di voi se non mi restituirete la collana. Dopo di che non ci incontreremo più, ne verrò più a sapere di una qualsiasi lettera che voi abbiate inviato a mia sorella. Ci siamo intesi? -
    Non capendo niente Sarah perse definitivamente la pazienza. - La vostra maledetta collana non ce l'ho, capito, zuccone che non siete altro?! E non ho mai ricattato nessuno, nè quindi vostra sorella! Se non la conosco neanche.... Scriteriato come siete, avete sbagliato persona! -
    - Lo vedremo chi ha sbagliato tra noi due! -
    Con tempismo perfetto, la carrozza si fermò. Sarah, guardando fuori, le sembrò di scorgere un vecchio capanno.
    - Ora scendete -
    - Nemmeno per idea!-
    - Se la mettete così... -
    Sarah non fece in tempo a replicare che venne trascinata giù di peso, molto poco elegantemente, dal suo rapitore e rinchiusa all'interno del capanno.
    Sentì la carrozza lentamente andarsene mentre il suo rapitore le disse: - Resterete lì a meditare fino a quando vi assumerete le responsabilità delle vostre azioni e restituirete la collana. -
    - Maledetto idiota. Volete capire che io non ce l'ho questa collana e non ho niente a che fare con tutta questa storia. Vi siete sbagliato e per essere un conte, siete un po' rintronato! -
    - Rintronato, io?! - Andrew offeso, replicò: - Si, forse mi sono sbagliato. Pensavo di aver rapito una gentildonna ma visti i vostri modi di esprimervi non ne sono più tanto sicuro. Più che un delicato fiore, voi siete una bisbetica fatta e finita! -
    Mentre si avviava a piedi verso la sua casa, gli giunse all'orecchio una sequela di insulti irripetibili e sorrise tra sè e sè. Ma la soddisfazione di aver avuto l'ultima parola non durò molto. Pochi passi e i dubbi lo assalirono di nuovo. Non sembrava una ricattatrice, nè una persona spregevole, come gli era stata descritta. Forse era il caso di andare a svegliare sua sorella per chiederle maggiori dettagli sull'intera faccenda. Cominciava a sentirsi sui carboni ardenti.
    Intanto Sarah, esausta per tutta la situazione, si raggomitolò in uno scomodo giaciglio e pensò a come poteva fare per liberarsi. Ma forse, quando quello zoticone fosse tornato in sè, avrebbe finalmente capito che lei era veramente innocente. Ci sarebbe stato da ridere quando finalmente gli avrebbe reso la pariglia. Un sorriso di puro divertimento si disegnò sul suo volto. Adesso avrebbe cercato di dormire un po' per raccogliere le forze. Però, nonostante la stanchezza, il volto beffardo e bellissimo del suo rapitore le saltava sempre agli occhi e si sorprendeva a rivivere il bacio che si erano scambiati momento per momento. Fino a che, ad un certo punto, crollò in un sonno profondo.
    Andrew faceva bene a preoccuparsi, vista la confessione che, qualche ora più tardi, gli fece la sua candida sorellina. Josie aveva bisogno di soldi per comprare abiti e accessori alla moda e l'appannaggio mensile che lui le passava non era certo sufficiente. Nello venire scoperta la prima volta si era inventata su due piedi questa storia strappalacrime, indicando Sarah Sheffield come la ricattatrice, perchè sapeva che nessuno di loro due la conosceva e quindi aveva pensato che la faccenda si chiudesse così. Dopotutto la collana della mamma per lei non era un ricordo prezioso. Con petulanza gli spiegò che le pietre erano montate in una maniera vecchia, che la faceva sentire fuori moda ogni volta che le indossava. Quindi l'aveva barattata in cambio di altri gioielli più moderni.
    Andrew uscì sconvolto da questo colloquio, non prima di aver dato una dura lezione alla sorella viziata. Si sentiva profondamente in colpa verso Sarah e capiva di aver oltrepassato ogni limite di decenza. Ma ora, ora cosa avrebbe fatto con quella virago chiusa nel capanno??
    Tanto per cominciare, poteva baciarla di nuovo mentre la riportava a casa, così forse sarebbe stata più bendisposta verso di lui e la corte serrata che aveva intenzione di farle nei giorni a venire. Baldanzoso e con un sorriso malandrino in volto, Andrew andò incontro alla sua bisbetica... pardon.. al suo futuro d'amore con Sarah.
    FINE

    Scusate per tutti gli errori e le incongruenze che ho disseminato. Questa storia me la sono inventata di sana pianta e nel farlo mi sono anche divertita, però non è stato tanto semplice. Ciò ha mi ha fatto maggiormente apprezzare le nostre autrici di romance, italiane e straniere. Capisco solo ora anche quanto sia importante la ricerca storica. Grazie a quante hanno sopportato di arrivare a leggermi fino alla fine. YUPPIDU ho finito... Ciao a tutte. Erica

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  5. La carrozza si avvicinava alla meta. Karl e Faiht non avevano più parlato tra loro ma i loro sguardi lampeggiavano nell’oscurità. Gli occhi di lui erano pericolosamente bramosi, quelli di lei innocentemente brillanti.
    Cosa l’aspettava? Si chiedeva Faith. La vita o la morte?
    La carrozza si arrestò con un sobbalzo e Karl la aiutò a scendere. Sbattendo le palpebre più volte Faith mise a fuoco la su destinazione.
    Un castello come quello delle fiabe, con tanto di torre e di statue demoniache a sorvegliarlo.
    Ad un certo punto, mentre si beava di quella visione si accorse del dolore. Dentini sottili e letali le addentavano le braccia, le caviglie e il viso. Urlò forte ma non tanto da sovrastare la voce di Karl che chiedeva di essere lui il bersaglio di quel dolore. Uno scudo trasparente ad un tratto si avvolse intorno a lei, impedendo l’accesso alle migliaia di pipistrelli che l’avevano presa d’assalto.
    Allora sono davvero una fata, pensò Faith esaltata. Mentre i pipistrelli si ritiravano impotenti Karl le si avvicino’ veloce, lei dissolse la barriera e in meno di un secondo si trovarono uno nelle braccia dell’altro.
    “Tesoro mi dispiace tanto…oddio…oddio” balbettava Karl mentre la stringeva convulsamente.
    “Sono una fata Karl” riuscì a dire lei.
    “Lo so sei la mia dolce, meravigliosa fata”
    “Perché mi hanno attaccato?”
    “E’ stato mio fratello ad ordinarglielo….vieni dentro con me, ti spiegherò ogni cosa”
    Il salone dove Karl la condusse era riccamente arredato. Divani di prezioso broccato, tappeti orientali, mobili finemente cesellati…Faith fissò la sua immagine in una specchiera dorata, alle sue spalle c’era Karl ma…
    “Credevo che gli specchi non riflettessero l’immagine dei vampiri…”
    “Infatti io non sono un vampiro…mio fratello lo è! Io sono stato condannato alla mia vita da maledetto perché…non sono riuscito ad ucciderlo dopo la sua trasformazione. Lui…lui mi implorava ma io non sono riuscito….e allora lui ha invocato una strega..”
    “E lo rifarei ancora, cento, mille e milioni di volte fratellino! Vedo che dopo secoli hai trovato la tua fatina, peccato che te la porterò via subito”
    Ancor prima che James potesse avventarsi su di lei, Faith si circondò con lo scudo. Lei ora era al sicuro ma non poteva fare niente per i due fratelli che si stavano fronteggiando.
    Non poteva restare a guardarli lottare senza fare niente. Alzò lo scudo e si frappose tra di loro. Subito le zanne voraci di James le addentarono il collo succhiandole avido il sangue e la vita stessa.
    Faith cadde a terra consapevole che le mancava poco da vivere. Guardò Karl che come impazzito piangeva e imprecava. Guardò per un’istante anche James ma nei suoi occhi non c’era traccia della soddisfazione che pensava avrebbe scorto. C’era invece dolore, rimorso e agonia.
    “Uccidimi ora Karl… guarda cosa ho fatto alla tua fata” implorandolo gli passò un pugnale d’argento.
    Karl guardò la sua Faith lottare con la morte e poi piantò il pugnale nel petto del fratello
    “E ora uccidi lei Karl…se non lo farai diventerà come James” disse una voce all’improvviso.
    La strega che lo aveva maledetto era tornata ma stavolta lui obbedì all’ordine.
    Con amore…infinito amore piantò il pugnale nel cuore di Faith.
    Ora Karl lo sapeva. Amare qualcuno significava anche lasciarlo andare al momento giusto. Era stato egoista con suo fratello, lo aveva condannato a vivere quell’ esistenza solo per non perderlo e per non sentirsi colpevole.
    Accecato dalle lacrime e straziato dal dolore non si accorse subito della morbida mano che gli accarezzava la guancia.
    “Karl sono viva…Karl….”
    Incapace di parlare Karl riuscì solo a stringerla a sé e a tempestarle il viso di baci.
    “E’ finita Karl, da oggi non sarai più il maledetto. Hai capito cos’è l’amore e la sofferenza” detto questo la strega si dissolse davanti ai loro occhi.
    “Ti amo mia fatina” Karl prese in braccio Faith e se la strinse al cuore dove sarebbe rimasta per il resto dei suoi giorni.

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  6. La trovò in giardino in un gazebo che sembrava un tempietto greco, tutto ricoperto da rampicanti ed ornato da statue che richiamavano personaggi della mitologia greca. lady Maryann sembrava una gattina arruffata con un nasino rosso e grossi lacrimoni che le scendevano per le guance. Ma a lord Lucky nessuna donna era mai sembrata più bella! Si sentì come un valoroso eroe del passato che era riuscito a sconfiggere il drago che aveva intimorito la sua bella! Ed ora non gli restava che consolarla... La abbracciò teneramente e con dolci parole e caldi baci sulle guance asciugò le sue lacrime e la rassicurò. Ma ben presto non gli bastò più tenerla castamente in braccio, sentendola dolce ed arrendevole, ed i suoi baci divennero meno amichevoli ed iniziò ad assaporare le sue dolci labbra.. voleva sempre di più ed anche le sue mani sciogliendosi dal dolce abbraccio delle sue spalle, scesero verso il suo seno... una delizia per lui ma anche per lei che non aveva mai sperimentato le sensazioni che lui le suscitava... Ma ad un certo punto un gemito emesso dalla sua "gattina" lo riscosse e si rese conto di dove erano... correvano il rischio di essere visti da chiunque avesse passeggiato nel giardino. Non doveva essere così ... non la prima volta con quella che, in un attimo aveva deciso, sarebbe stata la sua sposa per l'eternità... Si sciolse dall'abbraccio le riassettò i capelli ed i vestiti ed insieme tornarono nel salone muovendo i primi passi di una lunga vita insieme.
    FINE
    Ciao Marianna

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