Carissime amiche lettrici, dopo la pausa natalizia riprendiamo il nostro consueto appuntamento con le “Nuove penne”.
Le feste sono passate, ma l’inverno e la pioggia ci costringono ancora a
passare le nostre giornate al calduccio di casa. Quindi che cosa c’è di
meglio di una bella lettura romantica davanti al caminetto?
Oggi
è il turno di una nuova conoscenza Alisa Mittler. Abbiamo parlato molto
spesso del tema delle scelte e oggi ci troviamo nuovamente ad
affrontarlo, perché si sa, l’amore ci porta sempre a compiere dei passi
importanti e, davanti a dei bivi, è difficile scegliere quale strada
intraprendere.
La
protagonista del racconto di oggi si trova in un momento della sua vita
molto particolare, sta per cominciare un nuovo lavoro e presto andrà a
convivere con Marcello, il suo storico fidanzato con cui ha
attraversato mille e mille ostacoli. Sente il bisogno di riflettere, di
schiarirsi le idee prima di affrontare questi grandi passi, così si reca
in Trentino, paese di origine dei nonni dove era solita passare le
vacanze durante l’infanzia.
Lì
però la aspetta Werner, vecchio amico, ma soprattutto bellissimo
ragazzo di cui la ragazza era stata segretamente innamorata per molto
tempo.
Insomma
la campagna sembra peggiorare lo stato confusionale della fanciulla,
che cosa sceglierà alla fine? Tornerà a casa dal suo fidanzato o
deciderà di rimanere con il suo vecchio amore, accettando uno stile di
vita completamente diverso dal suo?
A voi lascio il piacere di scoprire la risposta..;) Non dimenticate, come sempre, di lasciare il vostro commento..;)
Vi
ricordo inoltre, per chi ancora non lo avesse fatto, che siete sempre
in tempo a mandarci i vostri raccontini! Noi siamo sempre felicissime di
leggerle e di condividerli con le nostre amiche! Seguite le istruzioni:LINK
SereJane
Per leggere il racconto, cliccate su continua a leggere :)
Il tempo delle scelte di Alisa Mittler
Finalmente
eccomi di ritorno al paese dei nonni in Trentino! Pensare che,
dall'ultima volta che ci avevo messo piede, erano passati ben più di
dieci anni mi faceva una certa impressione. Le estati, che da ragazzina
trascorrevo qui, si erano, anno dopo anno, smarrite rivoli di
interessi e paesaggi diversi, lasciando i giochi i colori e le corse
nei prati in un cassetto profumato della memoria.
Cassetto che un giorno si era aperto grazie a Facebook, quando Werner mi aveva contattata.
Werner
era stato l'amore di quelle estati. Un amore a senso unico da parte
mia, dato che lui mi considerava piccola anche se aveva soltanto un
paio d'anni più di me.
A
me invece sembrava più grande dei suoi sedici, ma, soprattutto a quei
tempi, i ragazzi di montagna, abituati a lavorare fin da giovani e a
sbrigarsela presto da soli, crescevano molto più in fretta di noi
cittadini.
Appena
giunta sulla piazza del Municipio, chiesi un passaggio per la frazione
a una decina di chilometri dal paese, dove mi aspettava la casa che era
stata dei miei nonni. Man mano che mi avvicinavo, tornante dopo
tornante, notavo che tutto era rimasto pressoché uguale. La sensazione
era quella di un ritorno a casa dopo un lungo viaggio.
Mentre
cercavo nello zaino il mazzo delle chiavi (i miei genitori, che dopo la
morte dei nonni venivano qui solo per brevi vacanze, avevano messo la
porta blindata ) sentii toccarmi la spalla.
“Signorina!”
Werner stava in piedi dietro di me con in mano un mazzo di gladioli gialli, il mio fiore preferito, e faticava a non ridere.
“Invecchi bene Capo!” dissi io e ci abbracciammo.
“Dai, avanti, poggia la roba e vieni subito a casa mia, che anche Bruna ti aspetta”.
Werner
andò ad aprire gli scuri e, quando la stanza si inondò di luce, i
ricordi mi vennero incontro assieme ai suoi occhi azzurri.
Ogni
oggetto sembrava darmi il bentornato: il divano a fiori, la credenza
bianca, il lavello di marmo. La vecchia stufa a legna pareva aspettare
che la nonna la accendesse per preparare la polenta, mentre il nonno
rientrava con il cappello sulle ventitré.
Salii
la scala che scricchiolava e arrivai a quella che era stata la stanza
mia e di mia sorella. Sempre fredda: non solo in inverno perché non
c'era il riscaldamento, ma anche d'estate, visto che i muri spessi non
facevano passare il calore del sole.
Werner e sua sorella Bruna abitavano proprio di fronte.
Werner,
dopo la morte del padre, ne aveva ereditato l'officina, Bruna a
diciassette anni era diventata mamma di Mirko, che ora mi scrutava
dall'alto dei suoi dodici anni e, poco dopo, della chiacchierona Alice.
Mi
colpì subito la grandezza delle loro case: stanze spaziose con camino,
pavimenti in cotto, cucine in muratura e legno, salotti con stereo e
televisione al plasma. Io, invece, arrancavo nel mio monolocale di
Milano che, senza l'aiuto dei miei genitori, non mi sarei certo potuta
permettere di affittare.
“E così sei tornata alle origini! Finalmente”
Mi disse Bruna dopo avermi abbracciato stretta.
“Quanto rimani?” fece Werner
Non lo sapevo ancora. Da qualche settimana meditavo di tornare lì e di restarci per un po' di tempo per schiarirmi le idee.
Mi
trovavo ad un passaggio cruciale della mia vita: mi ero laureata in
economia l'anno prima, e, dopo uno stage semestrale ovviamente gratuito,
presso una multinazionale delle assicurazioni, mi era stato offerto un
contratto di formazione. Di un anno. Poi chi vivrà vedrà, mi avevano
risposto.
Il
mio rapporto con Marcello andava bene, dopo una di quelle crisi
fisiologiche che colpiscono le relazioni di lunga data, peraltro
superata alla grande. Lui aveva superato l'esame di avvocato e adesso,
che lavorava presso uno studio internazionale, si divideva tra Milano e
Londra. Dopo l'estate ci saremmo messi a cercare un appartamento per
andare a convivere.
Tutto
bene, soprattutto in tempi come questi! Eppure un' inquietudine
impertinente, a braccetto di qualche dubbio, si era messa a gironzolare
nella mia testa. Nulla di meglio quindi che rivedere gli amici e i
luoghi dell'infanzia.
Bruna mi aveva preparato la polenta con brise e finferli, che qui è il modo di chiamare i porcini e i gallinacci.
“Vino?” mi chiese Werner
“Ma nemmeno per idea!” risposi ricordando di quanto fosse buona e fresca l'acqua di quelle parti.
A
pranzo si era aggiunto anche Carlo, il marito di Bruna che faceva il
Carabiniere. Quando rievocammo i nostri giochi da ragazzi, Mirko e
Alice si stupirono di come ci si potesse divertire anche senza play
station e con pochissimi cartoni animati.
Da
adolescente ero una dei pochi foresti ammessi nel gruppo dei ragazzi
del luogo di cui Werner era il capo carismatico, forse perché la mia
famiglia era di qui e io da sempre vi trascorrevo non solo i mesi
estivi, ma ogni periodo libero da scuola per me e per mia sorella e dal
lavoro per i nostri genitori. Anche io, a dir la verità, non mi sono mai
sentita completamente italiana, come i vecchi usavano chiamare i
turisti e tutti quelli che stavano al di là dal confine: il mio nome
Doris, che era quello della nonna, rimanda ad origini asburgiche mentre
la mia parlata, sebbene avessi vissuto a Verona fino ai diciannove
anni e i dialetti siano molto simili, non fu mai quella veneta.
Quando
Mirko e Alice si alzarono da tavola, non dopo aver fatto una
scorpacciata di polenta e zucchero (evidentemente certe buone abitudini
si tramandano di generazione!), con Werner, Bruna e il marito,
rievocammo un episodio mitico della nostra adolescenza: il salto
dell'Acqua Nera.
L'Acqua
Nera era un torrente che, tra gorghi, rapide e cascate, correva lungo
l'orrido proprio sotto il paese e che, i ragazzi, come dimostrazione di
coraggio, di nascosto dai genitori, si divertivano a saltare in un
punto dove le sponde erano strette.
Anche
noi tre superammo la nostra prova in un pomeriggio di fine agosto di
tredici anni fa. Fu veramente rito di passaggio visto che, a breve, le
nostre vite sarebbero salpate verso l'adolescenza e l'età adulta. Dopo
quell'estate, io iniziai il liceo, Werner avrebbe preso le redini
dell'officina del padre, morto improvvisamente e Bruna sarebbe rimasta
incinta.
Nei
giorni a seguire fui quasi sempre ospite di Werner e Bruna e rividi
altri amici della compagnia, quasi tutti sistemati, con lavori stabili,
famiglia e figli e mi sorpresi a provare una punta d'invidia. La loro
vita era nitida, tracciata, con una direzione ben precisa, mentre la
mia non sapeva cosa avrebbe trovati dietro uno dei tanti incroci della
precarietà.
Werner si sarebbe sposato l'anno successivo con Giorgia, una ragazza del paese di qualche anno più giovane di lui
“A
maggio”, mi disse “ormai la casa è pronta e i genitori della mia morosa
hanno venduto i prati per aprirle il salone di parrucchiera”
“E' vero” feci io guardando per terra mentre con la punta delle scarpa disegnavo cerchi sulla ghiaia “perché aspettare!”
“Infatti” disse lui “I giochi sono fatti!”
Giorno
dopo giorno, la mia vita milanese mi appariva sempre più sfocata: non
rimpiangevo di certo il cicaleccio delle amiche che mi parlavano di
aperitivi o dell'ultimo film d'autore, della collezione moda autunno
inverno come del romanzo di nicchia, e non mi mancavano nemmeno i
colleghi che si lamentavano di quanto fossero pesanti gli
straordinari o del tempo che non bastava mai. Anche la voce di Marcello,
il mio ragazzo, mi arrivava, complice la connessione ballerina, come
da un mondo lontano.
Su
al paese andavo pochissimo. Mi sentivo sicura tra le poche case della
frazione, schiacciate sul fondo della valle, con le montagne custodi
della mia tranquillità.
Passavo
le mattine a badare ai figli di Bruna, finché lei era di turno alla
cassa dello spaccio alimentare, mentre il pomeriggio lo trascorrevamo
assieme a lavorare all'uncinetto, tenendolo in pugno, come si usa da
queste parti, a cucinare, ad andar per funghi e a discutere di
televisione.
“Mi sa che sei tu che devi insegnare a me!” si stupiva Bruna mentre ammirava la mia tovaglia lavorata a filet.
“Ma se è stata tua zia ad insegnarci a tutte e due, ricordi?” risposi.
La
sera poi, tornavo alla casa dei nonni. Non avevo problemi a dormire
sola. Non accendevo né radio né televisione: i grilli mi facevano
compagnia e spesso finivo per addormentarmi con le finestre aperte come
in una culla.
“Non
hai paura !” mi chiese una sera Werner che era venuto a bussare perché
un temporale agostano aveva spazzato via la corrente e io mi
arrabattavo per cercare qualche candela.
“No, a me i temporali piacciono!”
Ed
è vero! Sarà forse merito dell'elettricità nell'aria, ma fin da
bambina, lampi, tuoni scrosci d'acqua mi hanno sempre messo allegria.
Euforia
che, complice qualche bicchiere di Marzemino, contagiò anche Werner. Le
ombre proiettate sulla parete dalle candele parevano personaggi di un
sogno festoso che prendevano vita. Fu così che non mi stupii quando lui
mi appoggiò le labbra sul collo e mi circondò la vita con le braccia. Mi
voltai verso di lui, risposi ai suoi baci, e non mi opposi quando, per
mano mi condusse alla camera da letto.
Ci
amammo più volte quella notte, come se avessimo voluto recuperare le
stagioni perdute e ringraziammo il brutto tempo complice della giornata
festiva che, la mattina seguente, ci permise di rimanere a letto
abbracciati. Mi pareva che i desideri dell'adolescenza fossero tornati a
bussare alla mia porte e mi venisse data la possibilità di riprenderli.
Nei
giorni successivi, tuttavia evitai il più possibile Werner e Bruna,
facendo con lunghe passeggiate nei boschi, che conoscevo bene. L'aria di
fine agosto era diventata “frizzantina”, e montagne allungavano la
loro ombra mentre saliva la nebbia dalla vallata. L'estate era agli
sgoccioli e sentivo l'inquietudine delle giornate sempre più brevi,
assieme alla necessità di dover prendere una decisione. Bruna mi aveva
detto che la sua collega allo spaccio si sarebbe licenziata, e che, se
lo avessi voluto, avrei potuto prendere il suo posto e trasferirmi lì.
Non
capivo se il peso che mi accompagnava durante le scarpinate solitarie
fosse causato dall'ansia della scelta o dalla consapevolezza che,
tuttavia, mi ostinavo a nascondere pure a me stessa: davvero sarei
stata felice di vivere per sempre in un paese incantevole, ma di poche
case, imprigionato tra i monti?
Milano,
con la sua gente di ogni colore, quasi fosse la stanza degli ospiti di
tutto il mondo, iniziava a mancarmi. Avevo nostalgia delle serate con
gli amici, delle nostre uscite goliardiche, dei film in prima visione.
Persino le sfacchinate e le incertezze sul lavoro, se guardate da
un'altra prospettiva mi apparivano sfide affascinanti, opportunità per
tirare fuori il meglio di me.
Ma
soprattutto pensavo a Marcello: valeva la pena di buttare un rapporto
che era cresciuto e maturato insieme a noi due, temprato dalle
difficoltà, scaldato dai momenti felici, per un sogno dolce ma
inconsistente, come le ombre proiettate dalla fiamma di una candela sul
muro?
Dopo
la nostra notte insieme, Werner mi aveva detto che non era poi così
sicuro di voler sposare Giorgia, che era una decisione maturata quasi
per forza d'inerzia, dopo anni di fidanzamento. Di noi due non avevamo
ancora avuto il coraggio di parlare, forse perché intuivamo che le
nostre vite erano cresciute troppo distanti per riuscire a trovare un
punto d'incontro. Saremmo mai stati capaci di trasformare le differenze
in un motivo di forza, base per una solida unione?
La domenica successiva, Werner mi propose una gita all'Acqua Nera.
I
temporali di fine estate avevano ingrossato il torrente, che urlava
sotto di noi. Il punto dove da ragazzi avevamo dato prova del nostro
coraggio era veramente pericoloso.
“Che incoscienti !” dissi a voce alta per farmi sentire sopra il boato delle rapide
“A decidere ci vuole coraggio!” gridò Werner e, presa una breve rincorsa, saltò dall'altra parte con sicurezza.
Ebbi
un po' di esitazione, ma fatto qualche passo indietro, lentamente, mi
concentrai un attimo sulla distanza. Una corsa veloce, un balzo e toccai
il suolo ben più avanti di dove era atterrato Werner.
Scoppiammo a ridere e risalimmo lungo il sentiero.
Usciti
dal bosco, il sole faceva risplendere i colori di un autunno dorato
come solo può essere da quelle parti. Anche le nubi della mia mente si
stavano aprendo, fino a scomparire del tutto nei giorni successivi.
Lì
c'erano le mie origini e le mie radici, ma non avrei mai potuto
viverci per sempre. Sarei partita come una freccia dall'arco, ma il mio
posto era a Milano accanto a Marcello, al mio lavoro, alle mie amiche.
Come Werner sarebbe stato bene assieme a Giorgia.
La
nostra notte insieme altro non era che un bel ricordo da custodire, un
episodio felice che ci aveva fatto superare momento di incertezza, come
la rincorsa che ci aveva permesso di saltare il torrente.
La settimana successiva iniziai a preparare le valigie salii al paese dove le connessioni telefoniche erano più stabili.
Chiamai Marcello: “Amore! Domani torno a casa!”
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